Kallipolis

carlo e enricoKallipolis (Kalòs Polis – Platone). Al quarto giro dei portici della bella piazza, di colpo si fermò. Era l’inizio d’inverno. Il solito cielo grigio, un po’ di nebbia si era infilata persino lì. Ormai aveva iniziato il secondo anno della facoltà di Giurisprudenza ed ogni giorno si ripeteva la stessa storia: lasciati i libri, se ne andava in piazza ed incominciava a girare, passeggiando con qualche amico lungo i benedetti portici.
Passavano le ragazze. Sembrava che esibissero le loro qualità fisiche e si commentava: sorrisini, valutazioni, come fossero merci in vendita.
Si andava avanti così, senza senso.
Per questo, quella sera, si fermò: non ne poteva più, basta girare a vanvera, si disse. Ebbe precisa la sensazione, anche fisica, del tempo che si andava perdendo, che si stava bruciando un intera gioventù nel vuoto di quelle giornate. Anche lo studio gli pareva servisse a poco, così fine a se stesso : un po’ di diritto costituzionale, qualche nozione di procedura, il diritto romano, l’unica vera passione. Ma perché, per che cosa?
La luce era poca, il cielo si era fatto più scuro, forse sarebbe nevicato tra poco.
“Ragazzi, io mi fermo qui.” disse agli amici che lo accompagnavano in quel preciso momento. Si strinse in quel cappottone che aveva, salutò e si allontanò. Non li vide praticamente mai più, voleva smetterla di lasciarsi vivere.
A quei tempi era già comunista. Lo era diventato un poco per volta. Frugando tra i libri e nei cassetti di suo zio Peppino gli capitarono tra le mani vari numeri di Rinascita. Li lesse, anche se non tutto riusciva a comprendere; a quei tempi faceva ancora il liceo.Sentiva, assorbiva i discorsi dello zio e pian piano costruiva il suo mondo ed i suoi riferimenti ideali: la Resistenza, la Costituzione, Carlo Marx,struttura e sovrastruttura,
Palmiro Togliatti e la “Strategia di una politica”, libretto che rinvenne là, tra quelle carte.
E, poi, gli operai, visti più volte sfilare sotto casa, il primo maggio in quegli anni lontani, al mattino, in serrato e numeroso corteo coi loro grandi cartelli e le voci elevate a gridare giustizia.
Capì presto, dunque, che quella era la sua parte, la parte dalla quale egli doveva stare.
1968. Proprio là, sotto quei portici della piazza, vicino al bar, avvicinò l’Emilio per chiedergli cosa dovesse fare per iscriversi al Partito.
L’Emilio indossava un vecchio, sgualcito montgomery blu, uno spelacchiato colbacco in testa ed una rossa sciarpa al collo.
Gli disse.”Aspetta, frequenta con me la sezione , poi, deciderai.”
Dentro quella piccola stanza che era la sezione Gramsci, scaldata con la bombola a gas e l’aria viziata dal fumo, si trovavano quelle venti persone la sera di ogni venerdì della settimana. Il Gianni la prendeva alla larga: dal mondo e dalla coesistenza pacifica all’Italia ed alla via italiana al socialismo e poi al compromesso storico, alla giunta locale e, di seguito, giù, giù, fino alla “Gambolina”, mitico quartiere operaio, indimenticate case popolari.
Poi, alla fine, ci diceva:” Allora domenica tutti qui alle nove ” senza fallo” che si va a portare il giornale.”
Da allora, infinite furono le domeniche mattina quando fianco a fianco, sebbene muniti di “fallo”, si diffondeva l’Unità casa per casa.
Insieme, lui, il Gianni, l’Emilio, l’Antonio, il Fiorenzo, il Gino e tanti altri condivisero soprattutto un’ idea: l’idea che si potesse lottare per costruire un mondo nuovo, fondato su di un rinnovato umanesimo, che abbattesse le consolidate gerarchie ed ogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Una nuova primavera verso una società più uguale ed una più genuina libertà per gli esseri umani. Esattamente questo significava per loro essere comunisti e comunisti furono fino in fondo.
“Kallipolis”,dunque, la bella città, che appariva là, in fondo, all’orizzonte, dinnanzi ai loro giovani occhi.
L’utopia cui tendere per dare una ragione al presente ed una speranza al futuro.
Ecco cosa furono quegli anni: furono i migliori anni della loro vita, i migliori anni della sua vita!.