Saviano: dieci ragioni per vivere

Quella di Roberto Saviano è un’urgenza espressiva, un’esigenza di comunicare, liberatoria quasi, impellente e insopprimibile. Quella di Roberto Saviano, giovedì sera alla feltrinelli di Pavia, non è stata la presentazione di un libro tratto da una trasmissione d’impatto e di successo. Non voleva e non poteva esserlo. Quella di Roberto Saviano, in collaborazione con Feltrinelli, di andare di
libreria in libreria a dialogare con la gente, non è un’operazione di marketing: non ce n’è bisogno, almeno per il primo dei due soggetti. In verità nemmeno per il secondo.
Saviano deve ritrovare la percezione del contatto con il pubblico. Meglio: deve ritrovare la percezione del contatto con la gente, perché non solo di pubblico si tratta quando si vive nel regime di Protezione cui egli deve sottostare. È proprio il contatto fisico che gli manca e con questa considerazione lo scrittore ha aperto il suo discorso. Un unico, lungo intervento – monologo si direbbe, se fossimo in televisione – condotto con il suo solito ritmo narrativo, peculiare tanto della sua scrittura quanto del suo eloquio, così antitelevisivo, così contrario alle sacre prescrizioni note ad ogni giornalista e proprio per questo così efficace. Allora, pur nel “disordine” di un intervento improvvisato, Saviano utilizza il pretesto della presentazione per tornare ancora a parlare dei temi per lui attualmente più stringenti. È ancora la macchina del fango ad occupare il centro del suo ragionamento. La macchina del fango, quel meccanismo scientifico – dice – che scatta ogni volta che provi ad opporti al potere, politico o criminale cambia poco. Un meccanismo fatto di delegittimazione sistematica da cui è impossibile difendersi.

Dalla delegittimazione alla rovina, poi, il passo è breve: così è stato per Giovanni Falcone, così è stato per Anna Politkovskaja. Di entrambi ha parlato Saviano, come già aveva fatto nel primo monologo di “Vieni via con me” e in un racconto de “la bellezza e l’inferno”. E come in “vieni via con me” Saviano ha voluto fare un elenco: quello delle dieci ragioni per cui vale la pena vivere, un gioco nel quale ha coinvolto anche i lettori, invitati a scrivere e postare in un urna le loro dieci ragioni per cui valga la pena vivere.

Quell’urna viaggerà con Saviano nelle successive tappe del tour di presentazione. Tra quelle dello scrittore ci sono Bil Evans e Bob Marley (come dargli torto, specie sul primo), la mozzarella di bufala e un tuffo in mare. Questo sicuramente il lato più pop e disimpegnato della serata, a segnare una sorta di continuità con alcuni momenti della trasmissione.

Frequenti sono state le citazioni, a conferma che, a dispetto di quanto credono alcuni (i più forse), la scrittura di Saviano è iperletteraria, non di solo reportage: da io sono leggenda a Danilo Dolci e i suoi scioperi al contrario; da Marley, appunto, a Camus. Ancora l’insistenza nel ribadire la sua necessità di continuare a scrivere, a parlare e a rimanere visibile per far sì, certo, che di Camorra e di mafie in generale non si smetta di discutere, ma anche come unico modo per potersi salvare. Le mafie colpiscono quando si è meno visibili, non quando si è al centro dell’attenzione: la storia di falcone lo dimostra.
Come sempre tanta, tantissima la gente, come per la prima volta a Pavia. Come quella volta in molti sono rimasti fuori a vedere la diretta video della presentazione nonostante non facesse esattamente caldo. Infine immancabili le file interminabili per gli autografi e per le fotografie. Qui, soprattutto, ci si accorge del rischio. Il rischio che Roberto Saviano venga ridotto (si badi: venga ridotto. non: si riduca egli stesso) ad una semplice rappresentazione iconica, un volto noto senza parole. E ai fan –non pochi/e – che mi passavano davanti dicendo “l’ho visto! La tachicardia!” avremmo voluto rispondere:”ma l’hai anche sentito?”.