Rimettersi in gioco, chi può

La serata di venerdì 15 ottobre in Cavallerizza ha visto come ospite Mario Calabresi, direttore del quotidiano La Stampa, figlio del commissario Luigi Calabresi ucciso da militanti di Lotta Continua successivamente alla morte dell’anarchico Pinelli: uno scorcio non del tutto trasparente della storia del nostro Paese legato alla strage di Piazza Fontana.

Mario Calabresi ha raccontato dei suoi due libri, Spingendo la notte più in là e La fortuna non esiste entrambi pubblicati per Mondadori, con una spiccata capacità affabulatoria tramite la quale gli è stato possibile perpetuare consigli alla platea su come comportarsi per non farsi sopraffare dalla Crisi economica che ha colpito  il mondo negli ultimi anni. «In Italia abbiamo perso quel tipo di mentalità brillante che ci distingueva, – ha detto il direttore – la quale è stata sostituita  da un’idea di pessimismo, di impossibilità di farcela. Una volta mia nonna mi disse: “Siamo stati anche noi americani ma ce ne siamo dimenticati”, infatti negli Stati Uniti, in cui mi sono recato per raccogliere interviste per il mio secondo libro, le persone che ho incontrato mi hanno dimostrato una grande capacità di riscatto. Loro – ha proseguito – hanno subito la Crisi molto più che da noi, eppure hanno avuto l’intraprendenza per non farsi schiacciare».

Calabresi ha sottolineato più volte, esponendo diversi aneddoti concentrati nel suo secondo romanzo, l’importanza del riscattarsi, di rimettersi in gioco dopo che si ha subito un torto di qualunque dimensione, «il vice di Obama, Joe Biden,– ha raccontato – era solito dire durante la campagna elettorale che non importa quante volte cadi, ciò che conta è che ti rialzi. In questa frase si può riscontrare l’idea, molto diffusa negli Usa, della seconda chanche. Io ho incontrato diversi operai che hanno perso il lavoro a causa della chiusura della fabbrica nella quale lavoravano da generazioni, che si sono messi a studiare per poter  inventarsi un altro mestiere, persone di cinquantanni che sedevano ai banchi dell’Università con i propri figli. Naturalmente – ha ammesso il direttore de’ La Stampa – questo gli è stato possibile perché in America gli organi della società funzionano, ci sono sussidi ed intelligenze politiche che permettono di risollevarsi, mentre mi pare che in Italia non si faccia altro che dare la colpa a chi governava prima senza rimboccarsi le maniche».

Durante la serata si è anche parlato di immigrazione avendo sempre come modello gli States i quali «sono nati grazie ai migranti che erano in fuga da Paesi in cui non potevano più rimanere, vuoi per causa religiose, vuoi per cause economiche. Nel Nuovo Mondo sono giunte persone dall’Irlanda, dalla Spagna e anche dall’Italia che nelle diverse epoche hanno dato forza al Paese, infatti gli Usa hanno  nel loro Dna. una potenza di storie umane ed è forse per questo che sanno sfruttare positivamente l’immigrazione, sia per se stessi che per chi arriva nel loro territorio. La loro capacità di accoglienza – ha continuato Calabresi – sta nel percorso basato su patti chiari da fare rispettare oltre alle grandi disponibilità ed aiuti che vengono dati, non come da noi dove gli immigrati spesso si lasciano in disparte, si chiudono nei Cpa (Centri per accoglienza) e si lasciano lì. Certo che poi delinqueranno. Sono necessarie regole, diritti e doveri».

Le ultime due esortazioni rilasciate da Mario Calabresi hanno riguardato lo studio e la Cina, due realtà non così distanti infatti «è necessario che da noi si imparino lingue come il cinese ed il russo, ovvero di quelle popolazioni che fanno parte degli enormi flussi turistici che giungono in Italia. Sarebbe inoltre corretto che gli atenei fossero più sinceri sulle disponibilità di lavoro che permettono certi corsi di studio, perché si sa ad esempio che fare l’avvocato è molto dura per l’alto numero di legali già presenti in Italia eppure ogni anno ci sono migliaia di ragazzi che si iscrivono alla Facoltà di giurisprudenza. È giusto capire dove va il mondo – ha proseguito – non essere reazionari, è importante saper cogliere le occasioni e ad esempio approfittare a nostro favore della potenza economica cinese, non averne paura. In Cina ora ci sono ben 300 milioni di benestanti che hanno desisederio e disponibilità di acquistare prodotti di qualità e allora perché non andare a vendergli la nostra di qualità. Inoltre – ha concluso Calabresi – è necessità saper accogliere i turisti che sempre più arrivano dal Giappone, dall’India e dalla Cina, allestire quindi un settore terziario doc».

Insomma pare che il Bel Paese, secondo le parole del direttore de’ La Stampa, abbia proprio bisogno di riformarsi ed elasticizzarsi. Speriamo che i consigli siano stati accolti.