Quando faremo anche noi i conti con la Storia

Impossibile prevedere quando la Storia potrà fare i conti con il presente che stiamo vivendo ma, quando avverrà, i nostri posteri avranno ragione ad irriderci o, se tutto sprofonderà nel baratro sul cui limite continuiamo a danzare, a disprezzarci. Il Nord-Africa in fiamme per la legittima esigenza di quelle popolazioni a reclamare libertà e democrazia e per disfarsi di dittatori storici; noi – contemporaneamente – ad ascoltare, discutere, tentare di ricondurre a ragione, le argomentazioni di chi – rifiutando di adeguarsi ad esse come un qualunque cittadino – modifica le leggi e tenta anche di stravolgere le garanzie costituzionali rappresentate soprattutto dal controllo incrociato tra poteri dello Stato.

Tutto questo accade in modo sostanzialmente diverso da quanto pronosticato da Nanni Moretti nel ‘Caimano’, probabilmente per un eccesso di fiducia da parte del regista nella dignità culturale e politica di quella parte del Paese che continua a sostenere Berlusconi. Altro che scene da guerra civile prodotte dal rifiuto del premier ad adeguarsi ad un consenso che lo abbandona; qui ci si accomoda alla tavola imbandita, ci si ingrassa più che si può, si fa finta di avere sussulti di autonomia ed indipendenza, dopo essere ritornati nel gregge perché il pastore ha migliorato mangimi e ovile.
E non è che i cittadini non stiano dando segnali di sofferenza e fastidio: le donne il 13 febbraio, gli operai Fiat, gli  studenti e i docenti, solo per citare i più recenti. Ma essi – i ‘responsabili’, i ‘casi di coscienza’, i transfughi pentiti – fanno finta che non sia vero disagio; che sia frutto di ideologia. Come se le idee avverse al Presidente del Consiglio, al suo Governo, alla sua Maggioranza avessero la stessa possibilità di diffusione attraverso radio, televisione, carta stampata dell’imponente campagna propagandistica quotidiana a suo favore, resa possibile grazie ad un incommensurabile conflitto d’interessi mai bloccato o, almeno, regolamentato.
Ma a cosa servirà, quando questa stagione più o meno lunga sarà finita? Se la Repubblica e la Democrazia prodotte dalla liberazione e che si reggono sulla Costituzione saranno stravolte per approdare ad una demo-dittatura plebiscitaria e populista, in cui la forza della rappresentatività delle assemblee parlamentari sarà ridotta ad una misura prossima allo zero, quali saranno i luoghi, le sedi, i momenti istituzionali nei quali dar voce agli esclusi, agli oppositori, a chi crede nella forza del confronto reale tra idee e progetti diversi? Ci sarà spazio solo per la rivolta, come ci stanno dimostrando in questi giorni i nostri confinanti mediterranei? Dove sono, oggi i ‘liberali’ disposti ad affrontare questi temi? Cosa ne pensano del confronto tra un futuro così preoccupante ed un passato che ha garantito finora dialogo, alternative, cambiamenti?
Certo, battersi per un ideale è molto più difficile che occupare cadreghini d’ogni tipo, ben remunerati, e che garantiscono grande visibilità, vera ossessione del nostro tempo. Ma quale giudizio avremo dai nostri figli, dai nostri nipoti, quando il sistema di garanzie e prospettive occupative di cui gli attuali cinquantenni-sessantenni hanno potuto usufruire sarà stato smantellato e non ci sarà più la possibilità di scegliere un lavoro, né la certezza di una pensione, la possibilità di accesso al credito senza essere strozzati o la garanzia di poter pagare un mutuo bancario anche negli anni successivi a quello in cui sarà acceso? E su cosa si reggerà il tanto evocato “Sistema Paese” se la precarietà non solo non garantirà più alcun lavoro, ma neppure l’acquisizione di competenze e professionalità elevate? Ricordate quando Berlusconi consigliava alle ragazze di scegliersi un marito ricco? Ecco come vede lui il futuro dell’Italia: i ricchi ad ingrassare, gli altri ad arrangiarsi.
Noi ridiamo, ci consoliamo facendo satira, ma oltre, purtroppo, non riusciamo ad andare. Risate e sarcasmo non salveranno le future generazioni che proprio a questa nostra epoca attribuiranno la responsabilità di aver cancellato le loro speranze e le loro aspirazioni, forse perché ci stiamo occupando più del ‘bunga bunga’, delle minorenni, dei limiti morali del “più grande Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni” che della sua incapacità di governare, insieme con quanti lo sostengono più per tutelare la propria poltrona che per assicurare sviluppo, progresso, crescita economia e culturale al Paese.

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