Personaggi cittadini protagonisti di spettacoli trash

GalellaSono notevoli le occasioni che, in questa stagione televisiva, hanno portato alto il nome di Vigevano. No, nessuna fiction su Eleonora Duse, nessun documentario in ricordo di Mastronardi. Questa stagione ha visto Vigevano coinvolta non in programmi di nicchia, ma come vera star in show da milioni di telespettatori. Inevitabile partire con lo spettacolo che più ha acceso le discussioni familiari e tra colleghi: il delitto di Garlasco di cui Vigevano è scenografia, con il tribunale quotidianamente ripreso da ogni tg. Dal punto di vista sociologico, il delitto esaudisce ciò che il pubblico assetato di gossip e di reality chiede: una morte misteriosa, un movente che non si trova ed un colpevole incerto. Inoltre, il delitto di casa nostra non si è fatto mancare anche elementi succulenti per spettatori sempre più esigenti: due cugine che vogliono fare la televisione e alcune voci di corridoio sull’ambiguità sessuale del fidanzato (quasi a giustificarne la malafede). I telespettatori hanno ormai “superato” i misteri del tenente Colombo, e pretendono la morte vera, come vere sono le botte dei reality.

Apriamo poi il capitolo Vigevano e prostituzione con due casi che sono stati riportati da tutti i media nazionali: la storia di Catena e Maria, madre e figlia, prostitute per pochi euro e quella di Francesca, la prostituta che fa la ricevuta fiscale. Catena e Maria, dopo un’intervista a “Le iene” in cui chiedevano aiuto ed un lavoro, sono approdate a “Il bivio” di Enrico Ruggeri sempre per chiedere aiuti e dove invece sono state per l’ennesima volta mercificate, sottoposte persino ad una seduta di ipnosi per capire chi fossero in una vita precedente. Certo, le due povere donne, con alla spalle una vita di povertà e squallore iniziata in Sicilia, non hanno colpe particolari o aspirazioni alla Noemi Letizia, e non che si vogliano fare moralismi facili. È però inevitabile meditare su quando Vigevano faceva da sfondo a ben altre vicende, come ad esempio alle riprese del film Il maestro di Vigevano di Elio Petri.

Altro breve – seppur gravissimo – episodio che ha acceso i riflettori sulla nostra città è quello di Angelo Idi, sacrestano della chiesa di San Francesco, che ha accolto i parrocchiani nella giornata in cui gli ebrei ricordavano la Shoah con la svastica al braccio. Lo scherzo gli è costato la sospensione dall’incarico, ma il danno peggiore l’ha subito la città, nominata sui giornali di tutto il mondo.

L’ultimo personaggio vigevanese che ha visto i riflettori accendersi (e spegnersi) su di sé in questa stagione televisiva è tale Christian Galella, professione tronista. Senza dilungarci sul neologismo particolarmente sciocco, il concittadino Christian ha preso parte a quella mascherata che è “Uomini e donne” di Maria De Filippi in cui, tra litigate, cenni di risse, minacce più o meno pesanti, giovani arrivisti e lascive donnette, la De Filippi troneggia sorniona, lei, unica vera tronista di tanto pattume. Il ragazzo, giovane tronfio, dopo essersi trovato a suo agio in tanta povertà intellettuale – nonché cerebrale – è approdato all’effimero mondo del guadagno facile come ospite di discoteche e centri commerciali sparsi per lo stivale, periodo che – la storia televisiva insegna – dura poco più che un paio di mesi. Egli ha seguito poi le orme dei suoi predecessori. Nel dimenticatoio, of course.

Vengono in mente due intellettuali: Sartori e Amélie Nothomb. Sartori, uno dei più importanti politologi del mondo, nel saggio Homo videns. Televisione e post-pensiero, afferma che le nuove generazioni sono più stupide e che la causa è proprio la televisione. Il concetto espresso è che la televisione con il suo primato dell’immagine ha spostato la natura della comunicazione dal contesto della parola a quello dell’immagine e, formando i telespettatori fin dall’infanzia, li diseduca nella loro capacità di ragionamento poiché la parola è simbolo quindi necessita di spiegazioni, interpretazioni, invece l’immagine è così com’è. Essa potrebbe essere interpretata, ma non è necessario: basta la visione passiva della stessa. Nell’era dell’immagine la parola è un contorno. Inoltre non è nemmeno possibile credere indistintamente a ciò che si vede solo perché lo si è visto, in quanto bastano pochi tagli, un montaggio ad arte o la decontestualizzazione per rendere verosimile qualsiasi cosa si voglia dire. È facile capire quale pericolo la televisione sia per la democrazia. Specie se essa fa capo, in un modo o nell’altro, alla medesima persona. Altrettanto facile capire come sia un pericolo per l’intelletto, se gli esempi trasmessi sono come quelli che hanno coinvolto Vigevano in questa stagione.

La Nothomb, eccentrica scrittrice francese, ipotizza invece nel suo libro Acido solforico un reality dal nome “Concentramento” in cui i concorrenti, che vivono in un campo di concentramento ricostruito, devono essere realmente uccisi una volta eliminati dal gioco. La scrittrice ci suggerisce però una soluzione per sfuggire a questa escalation di orrore: un potere che già possediamo, ma di cui ignoriamo la grandezza. La libertà. Noi abbiamo la possibilità di fare una scelta, di decidere di non diventare spettatori di disumanità. Possiamo rifiutare di assistere alla sofferenza/spettacolo premendo un pulsante.

Allora ricordiamo Eleonora Duse, celebriamo Mastronardi nell’anniversario della sua morte, scappiamo tra i bei sentieri del Parco. Non celebriamo questi nuovi mostri, non celebriamo i media che li creano. Ricordiamo piuttosto passati lontani, ma pur sempre gloriosi. Rivendichiamo il più alto e nobile dei valori che è la nostra libertà d’azione. E spegniamo il televisore.

Simone Zeni