Padania, nuova provincia di ‘ndrangheta

Pomeriggio di pioggia e cielo grigio a Milano. Al quarto piano del Tribunale c’è uno strano via vai. Da poco sono passate le cinque e il procuratore Ilda Boccassini attende già da venti minuti seduta dietro alla scrivania del suo ufficio. Davanti tiene i fascicoli della maxi inchiesta di luglio che ha assestato un colpo durissimo alle cosche della ‘ndrangheta in Lombardia. Legge e rilegge passaggi precisi. Sottolinea, prende appunti. Attende l’arrivo del procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone. Il loro è un vertice inatteso. Apparecchiato di fretta ieri sotto il cielo grigio di Milano. Probabilmente per mettere un freno a notizie come quella pubblicata oggi dall’Espresso e che racconta di strane telefonate tra uomini vicini alle cosche e politici della Lega nord. Telefonate per scegliere candidati calabresi da infilare nelle liste padane delle provinciali del 2009. Ma si è anche parlato dei prossimi processi e delle future inchieste che legheranno assieme Lombardia e Calabria. Fissando, per l’ennesima volta, un punto decisivo. E cioé il costante e graduale commissariamento della politica lombarda ai voleri dei padrini di San Luca, Africo, Platì.

Politica padana, ad esempio. Quella della Lega. Tirata in ballo dallo scrittore campano Roberto Saviano durante la trasmissione Vieni via con me. Un accenno, il suo, a quel consigliere regionale pizzicato dai Ros di Milano a un incontro con Pino Neri, avvocato fiscalista, massone, ma soprattuto boss di Pavia. Un consigliere regionale mai nominato da Saviano e che più volte ne ha giustamente ribadito il non coinvolgimento giudiziario. Un consigliere che, però, ha nome e cognome: Angelo Ciocca, recordmam di preferenze (oltre 18.000) alle ultime regionali in Lombardia. Giovanissimo, classe ’75, Ciocca è un fulmine in fatto di carriera politica. Da assessore del proprio comune, San Genesio degli Uniti, ad assessore provinciale, fino al Pirellone. Nel luglio scorso, la sua vicenda mise in grave imbarazzo i vertici leghisti di via Bellerio. Imbarazzo che non è mai finito. Anche oggi che la sua vicenda dà fuoco alle polveri della polemica tra il ministro dell’Interno, Bobo Maroni e lo scrittore di Gomorra.

Maroni, però, dimentica che all’epoca dell’incontro, nel giugno 2009, Ciocca non è, come ha detto il capo del Viminale davanti alle telecamere di Matrix, “un signor nessuno”. Piuttosto l’enfant prodige padano è un politico già affermato e soprattutto appena eletto in Provincia. Anche per questo l’affaire Ciocca, attuale tutor di Renzo Bossi in Regione, non ha mai smesso di preoccupare i vertici leghisti, non tutti d’accordo con l’uscita del proprio ministro contro Saviano. Sul tema il Carroccio si sta dividendo. Da un lato Giancarlo Giorgetti, responsabile degli Enti locali e sostenitore nel blindare Ciocca, dall’altro i duri e puri come il ministro Roberto Calderoli che lo vorrebbero fuori dal partito. Una bufera inaspettata, dunque. E che sta spingendo lo stesso Maroni a fare un passo indietro sulla questione Saviano.

Al di là di tutto, però, la polemica politica rischia di inquinare la questione vera e cioé la presenza massicia della ‘ndrangheta in Lombardia che, come si legge nel rapporto della Dia presentato mercoledì in Parlamento, “è riuscita a interagire con settori dell’economia e della politica”. La politica, dunque. E qui Saviano probabilmente ha dimenticato un aspetto dello scenario: la straordinaria democrazia della ‘ndrangheta in fatto di tessere e voti.

Le ultime inchieste milanesi, infatti, ci consegnano un singolare cortocircuito con decine di amministratori citati nelle ordinanze d’arresto e nelle informative della polizia giudiziaria. Ma solo due coinvolti. Due politici con storie diverse ma entrambi legati al centrosinistra. Da un lato Tiziano Butturini, ex sindaco Pd di Trezzano Sul Naviglio e Antonio Oliverio, oggi vicino al presidente della Provincia Guido Podestà, ma in passato assessore al Turismo nella giunta di Filippo Penati, il braccio destro di Bersani.

Seguiamo però il ragionamento degli investigatori della Dia. Si legge: “Tale tattiche di coinvolgimento (mafioso), da un lato trascinano con modalità diverse i sodalizi nelle attività produttive e dall’altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione che possono favorirne i disegni economici”. Ignari, dunque. Tradotto: non indagati. Come Armando Vagliati, consigliere comunale del Pdl a Milano, che ha intrattenuto rapporti con Giulio Giuseppe Lampada, ritenuto dai Ros di Reggio Calabria il riciclatore lombardo della cosca Condello. O ancora Alessandro Colucci, assessore regionale Pdl, filmato, nel 2005, a cena con il boss della ‘ndrangheta Salvatore Morabito. O ancora Stefano Maullu, anche lui nella giunta di Formigoni, in rapporti con Alfredo Iorio, professione immobiliarista per conto della ‘ndrangheta. Maullu è “ignaro”. E tale resta anche quando si accomoda in un ristorante di Rozzano assieme a gente in odore di mafia. Ex titolare di una poltrona nel governo lombardo è, invece, Massimo Ponzoni, grande elettore brianzolo e persona che, annota il giudice milanese Giuseppe Gennari, “viene indicato come il personaggio giusto al quale rivolgersi per sostenere la candidatura di un soggetto gradito ai calabresi”. Passaggio che Gennari definisce “inquietante”.

Sono queste le relazioni pericolose che hanno permesso ai padrini calabresi “l’ingresso negli appalti pubblici, nel combinato sistema del movimento terra e in taluni segmenti dell’edilizia privata”. Parole gravi che diventano imbarazzanti contrappuntandole con la cronaca mafiosa che oggi a Milano è diventata pressoché quotidiana. E così scopriamo che un clan di terzo piano come quello dei Cosco, originari di Petilia Policastro, è riuscito a ottenere subappalti per la costruzione della linea cinque della Metropolitana milanese. Gli Ietto-Strangio di Natile di Careri, attraverso la Perego strade, hanno addirittura iniziato i lavori per la costruzione del nuovo palazzo di Giustizia. E poi ci sono le opere della Tav, infiltrate dai Paparo. Cosca autoctona nata e cresciuta nei quartieri bene di Cologno Monzese a due passi dagli studi di Mediaset. E ancora: il raddoppio della Milano-Mortara, altro appalto delle Ferrovie dello Stato dentro al quale si sono infilate le famiglie di Paltì egemoni a sud di Milano. Le stesse che hanno lavorato al nuovo centro direzionale della Provincia di Milano, un appalto da 40 milioni di euro. Il rapporto della Dia completa il quadro. “In questo scenario si è visto il coinvolgimento di pubblici amministratori e tecnici del settore che, mantenendo fede agli impegni assunti con alcune componenti organiche alle cosche hanno agevolato l’assegnazione degli appalti”.

E appalti oggi in Lombardia significa Expo 2015. La grande torta. L’affare per eccellenza che ingolosisce i padrini e fa paura agli investigatori che lanciano l’allarme e chiedono alla politica “un razionale programma di prevenzione”. E a leggere certe intercettazioni non hanno tutti i torti. Dice un imprenditore in odore di mafia che al nord lavora nel movimento terra: “Adesso cominciano i lavori di Expo, sai quanta merda porterà là sopra… Si torna come l’alta velocità… Se la mangiano subito… chi tiene cinque camion, chi resiste, chi arriva all’Expo”.

Questo probabilmente bisogna leggere nelle parole di Saviano. Non solo un attacco frontale alla Lega nord. Ma la consapevolezza che in Lombardia la mafia non è solo quella dei colletti bianchi. Perché oltre la politica e l’impresa, ci sono le vittime di una infinita macelleria mafiosa che piega le spalle agli onesti e mette il silenziatore a chi vuole denunciare. Pizzo e racket sono lo strumento. Come in Calabria. O come a Pavia, dove l’asl è stata commissariata per mafia e il sindaco del vicino comune di Borgarello arrestato per aver favorito i clan. Ma capita anche a Varese, novella terra di mafia che ha dato i natali proprio al ministro dell’Interno Bobo Maroni.

(Fonte ilfattoquotidiano.it)