Migrantes

Le righe che seguono (per gentile concessione del bimestrale La Corsa) sono riprese da uno splendido “pezzo” di un giornalista sportivo genovese, specialista di atletica e di rugby, che ha seguito, gli ultimi campionati europei di atletica a Barcellona lo scorso luglio. Con acume, professionalità e tanta competenza, ha puntato l’obiettivo sulle mille sfaccettature etniche delle varie nazioni. Partecipanti provenienti da tutto il mondo che vestivano colori diversi dai paesi di origine. Segno evidente di una integrazione che non si ferma e marcia spedita verso un “unicum” che sta diventando sempre più la norma. In questo articolo si parla di atletica, ma succede così anche in moltissimi altri sport. E noi qui a pensare che, forse, li dovremmo ricacciare tutti in mare (iIl Bossi-Ceffa pensiero impera quasi sovrano…). Lo sport ci dice che percorrere un’altra strada è possibile.Una settimana nell’ambiente molto olimpico di Montjuic per capire che l’Europa c’è ancora, salta lungo, salta in verticale, ha un suo piccolo Bolt (Christophe Lemaitre), spara verso il cielo dischi e giavellotti che nessuno al mondo sa spedire così lontano. Un’Europa cambiata, in profondità: l’atletica n’ è uno specchio dentro una galleria di superfici che non deformano. Mai come questa volta.
Oggi si compra, si accoglie, si nazionalizza, si pratica l’integrazione all’insegna della normalità e non della sorpresa, si accartocciano gli stereotipi e non desta più stupore vedere uno svedese con padre congolese, non ci si scandalizza (troppo…) se l’Azerbajan acquista giovani etiopi, non si batte ciglio se i velocisti della Norvegia vengono dal Gambia e dalla Nigeria, se il dominatore delle distanze lunghe è un profugo – Mohammed Farah – che non viene dalle vecchie colonie britanniche ma dalla Somalia straziata dai signori della guerra, se un discobolo e due lunghisti spagnoli sono cubani, se un mezzofondista tedesco è eritreo, se le mezzofondiste turche sono tutte etiopi (ma questa non è una gran novità…), se il miglior maratoneta di Francia è un kenyano matto che ha chiesto la nuova nazionalità dopo aver servito nella Legione Straniera, se per la prima volta la Russia presenta un nero: Lyukman Adams, triplista da 17,20, madre russa e papà nigeriano. E così il paese che corre e scorre tra Polonia e Giappone può vantare lo spettro completo delle razze. Non ci sono soltanto i neri e i nordafricani di Francia, i caraibici e gli africani di Gran Bretagna. Francesi e britannici: lo dice la storia.
E’ un mondo globalizzato, un frullatore di vite. Gli Emirati dell’Arabia ricca e chissà se ancora felix hanno i soldi e comprano kenyani, etiopi e marocchini di valore: maxi -rata all’acquisto e 1000 dollari al mese vita natural durante. Gli azeri e i turchi non sono così facoltosi: vanno sul più conveniente, sugli sconosciuti, su quelli che possono crescere o perdersi. Costano poco. Che fine faranno se non combineranno niente? L’etiope Bezabeh racconta che una volta vide alla televisione un documentario sulla Spagna: “Che bel posto: mi piacerebbe viverci”. Andò senza un soldo in tasca, finì sule panchine, ebbe la fortuna di esser raccolto da un prete prima, da un allenatore dopo. Agli Europei ha fallito, ma per la Spagna ha segnato il terzo tempo della storia statistica europea. E i portoghesi pescano tra i maghrebini e i belgi trovano una medaglia con Svetlana Bolshakova e i tedeschi offrono gli sfaccettati volti di un ventennio proteiforme: russi, bielorussi, polacchi, africani, arabi. Il Quarto Reich ha molti colori.
Un’atletica di migranti, non un mercato miliardario, e uno sport per chi ha voglia di uscire dalla banlieue: Teddy Tamgho triplista e Laji Ducouré ostacolista con profonde radici nell’Africa Occidentale vengono dalle periferie parigine più dure, sono entrati in quel programma ricreativo che vede in prima fila Lilian Thuram, il giocatore più colto e impegnato che mai sia venuto in scena. Dove si trova uno che legge Baudrillard? Si lavora perché i ragazzi non entrino nelle bande, perché non si rincoglioniscano sui marciapiedi, perché usino i loro fantastici potenziali. Magari qualcuno l’ha dimenticato ma questa è una delle funzioni dello sport e in Francia in questo senso lavorano molto bene.
Un continente in metamorfosi, con vecchie realtà sempre più rare e obiettivi sempre più dichiarati: le ragazze russe che vincono quasi come un tempo, i tedeschi sempre solidi, i polacchi che fanno leva sulla tradizione e su un magistero tecnico di prim’ordine, i britannici in pieno avvicinamento a quel che capiterà a Londra tra due anni (Olimpiadi): il più grande spettacolo del mondo e loro vogliono essere protagonisti. Hanno cominciato da Pechino con una programmazione ferrea, con mire precise. In atletica il simbolo è la Jessica Ennis, dominatrice dell’eptathlon, mamma inglese, padre giamaicano.
Nuovi modelli, come la Francia del ’98 (oceanici e baschi, africani e antillani), come la Germania del 2010 (turchi e africani di Berlino, tunisini e polacchi della Slesia) da cui l’Italia rimane sempre distante, alle prese con un modello sportivo che imbarca acqua (Vancouver e Sudafrica sono gli ultimi esempi), con nazionalizzazioni per matrimonio (May, Martinez, Grenot), con una perla nera finita qui per i casi della vita (Howe), con qualche fermento che comincia a maturare tra i primi nati da una generazione che ha provato a fare il salto. The times are on changing, cantava una volta Bob Dylan.
Qui, boh.
Giorgio Cimbrico (La Corsa)