Libera e la “religione” della democrazia

Dalla giornata del 19 marzo di Libera a Potenza viene un segnale, il superamento di un confine nella continuità con il passato, una proiezione in avanti di cui vanno colte le dimensioni nella pesante realtà nazionale. Al di là dell’assemblea di popolo che ha riunito in Basilicata fra molte difficoltà logistiche decine di migliaia di donne e di uomini, in gran parte giovanissimi, la testimonianza di Don Luigi Ciotti ha aperto precise prospettive. Mai con tanta chiarezza il fondatore di Libera aveva posto percorsi che, insieme con la società civile e la  responsabilità di ciascun cittadino, chiamano così direttamente in causa il rapporto della politica con i drammatici problemi che stiamo vivendo. Concrete sono state le denunce delle gravi inadempienze del governo  per affrontare la dilagante corruzione, il degrado ambientale, la crisi riversata nelle famiglie, nella disoccupazione, nel lavoro, dove sono ignorati  diritti essenziali ed emarginati i giovani, sulle donne di cui viene calpestata l’identità e umiliata l’immagine. Senza sconti la denuncia del disastro organizzativo e umanitario che la linea del governo ha causato di fronte al grande problema dell’immigrazione, come  nei tagli finanziari che colpiscono le politiche sociali, la cultura, la ricerca, la scuola pubblica. Altrettanto netto è il “sì” chiesto nei prossimi referendum, per fermare il rischio del nucleare e la vergogna della privatizzazione di un bene primario “inclusivo” come l’acqua.  Alla pretesa riforma della giustizia, Luigi Ciotti risponde difendendo a viso aperto l’indipendenza dei magistrati, la Costituzione, “primo testo antimafia del nostro Paese”, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che investe la persona “come fine e non come mezzo”.

Dunque una vera e propria piattaforma programmatica, che affronta  i nodi aggrovigliati che incombono sul Paese, in nome di un’Italia diversa, forse oggi minoritaria anche perché ignorata dal circuito dei media, emarginata da un sistema dell’informazione largamente omologato al potere, al profitto e al mercato,  ma una realtà presente e attiva in ogni angolo del Paese. L’altissimo potenziale di quest’Italia è frammentato in mille rivoli di iniziative autoreferenziali o concorrenziali, spesso limitate negli obiettivi e territorialmente, isolabili da coloro che hanno in mano le chiavi degli affari occulti, delle praterie illegali, delle offensive contro i controlli sociali  previsti dalla Costituzione: la obbligatorietà dell’azione penale e la libertà di stampa. Fra quest’Italia e  la politica pulita,  quella che crede nella Costituzione e nei principi della democrazia, che si pone interrogativi di natura etica e civile, si è creato un grande vuoto, pericoloso da ambedue i lati. Dalla parte della “buona” politica, perché così ignora o emargina  idee, risorse umane preziose, iniziative, stimoli e controlli civili, fino a estraniarsi dai reali problemi dei cittadini e a essere parte della “casta” autoreferenziale degli intoccabili, incrollabile nei privilegi, ostile a ogni palpito di rinnovamento.  Dal lato della società, perché impedisce ai movimenti civili di avere  sbocchi e credibili  referenti, affidabili amministrativamente nei territori come legislativamente in Parlamento, mentre si accresce ogni giorno la disillusione e la sfiducia generalizzata di tanti cittadini. E’ inutile sottolineare quanto questo vuoto giochi nel mantenimento delle  sopraffazioni del potere, nel cinico stravolgimento delle leggi  da parte delle “cricche” che compongono la coorte dei fedelissimi del premier, nocciolo duro di un devastante “berlusconismo” destinato purtroppo a mantenersi a lungo, sempre che sia vinta la difficile battaglia oggi in corso sulla Giustizia.

C’è chi, nella società civile, spinge perché le associazioni più forti e credibili si facciano a questo punto direttamente avanti, assumendo una veste politica per colmare il vuoto e trasferire nelle istituzioni le proprie motivazioni ideali e una nuova linfa sociale. Da quel che si sa, ad esempio, ci starebbe seriamente pensando il carismatico fondatore di Emergency, Gino Strada, ma tentazioni crescono ovunque…
Io non credo che questa sia la strada giusta, sia per il rischio, tristemente vissuto nella recente storia repubblicana, di una ennesima frammentazione partitica di cui non si sente davvero bisogno, sia per la confusione e la divisione che l’assunzione di una diretta veste politica accentuerebbe all’interno stesso dei movimenti, con ulteriori contrasti, gelosie, ambizioni personali e di visibilità, che già oggi pesano nell’organizzazione delle iniziative. Del resto cosa cambierebbe nell’ossificato quadro politico, in modo da costringere grandi partiti ad assumere una diversa linea sociale e culturale,  con l’emergere di piccoli partiti nati da singole componenti del vasto panorama dell’associazionismo e dell’impegno civile? Credo invece che sia necessario impegnarsi dalle due parti, con paziente determinazione, per superare questo vuoto e operare via via un’osmosi, un’integrazione mirata non solo alla vitale difesa della Costituzione, ma al pieno sviluppo dello straordinario patrimonio ancora  inespresso contenuto nella Carta. Il ritardo e la resistenza dei partiti nel comprendere che questa strada è l’unica possibile per riprendere contatto con larga parte della società, dando significato al concetto stesso di democrazia parlamentare, è una delle ragioni di fondo dell’assenza di una credibile alternativa al “governo del malaffare” che sta devastando l’Italia, minandone il futuro.
Penso che anche questo abbia voluto significare la “chiamata alle armi” di Don Luigi Ciotti dinanzi alle dolenti testimonianze dei familiari delle vittime di mafia: un invito alla società civile e responsabile a marciare insieme, a fare rete, a creare un’unità di intenti nelle battaglie, a incalzare la buona politica perché non si sporchi, perché prevalga l’etica e il rispetto delle leggi  nell’esercitare il mandato ricevuto. Come a costruire un’informazione che acquisisca nel Dna il sapore della libertà e della ricerca di verità, spezzando cinismo, omertà, subordinazione, indifferenza, volgarità nei contenuti e nel linguaggio.
“E’ il vero Papa straniero”, mi ha sussurrato un amico di grande valore, alla fine del  lucidissimo intervento di Luigi Ciotti, alludendo maliziosamente alla ricerca del leader che a tratti serpeggia fra le ansie nelle file dell’opposizione… Non è così, anche se in assoluto non  dispiacerebbe affatto a me e a tante persone. La religione della democrazia, di cui il nostro Paese ha un’ urgente, disperata necessità , non ha bisogno di un Papa, ma di tanti, tanti fedeli, che all’ indignazione e alle preghiere facciano seguire le azioni.

Roberto Morrione