L’ultimo bluff del federalismo fiscale in commissione

Per Bossi il parere (non vincolante) della Bicamerale è decisivo. Ma la riforma resta una scatola vuota. Calderoli annuncia modifiche, sempre incerto il gettito delle nuove imposte comunali

Per la Lega è il momento della verità, l’occasione per decidere se il governo deve vivere o morire. Ma il passaggio del federalismo fiscale nella commissione bicamerale (cioè composta sia da deputati che da senatori) ha un valore solo politico: quindici membri della maggioranza, quindici dell’opposizione, il presidente (finiano) Mario Baldassarri in bilico. L’11 gennaio è cominciato l’iter, c’è tempo fino al 28 per approvare gli ultimi decreti attuativi del federalismo fiscale. Funziona così: nel 2009 il Parlamento approva la legge delega sul federalismo fiscale, poi tocca al Consiglio dei ministri emanare i decreti legislativi (che danno sostanza alla delega) su cui la bicamerale dà un parere consultivo.

Poi si esprimono le commmissioni competenti di Camera e Senato e infine i decreti devono essere convertiti in legge dal Parlamento. Il senso dei 17 giorni per approvare gli ultimi cinque decreti attuativi è dunque tutto politico, una prova di fedeltà alla Lega. Nel concreto cambierà davvero poco perché il federalismo fiscale era e resta soprattutto una scatola vuota.

Il punto di cui si discute ora è il fisco comunale. L’idea originale, condivisa un po’ da tutti, era di assegnare ai Comuni la gestione di alcuni tributi, così da renderli responsabili delle spese. Risultato: nel 2011 i Comuni riceveranno da Roma esattamente gli stessi soldi del 2010, circa 13 miliardi di euro, ma da un “fondo di riequilibrio” invece che come normale trasferimento dal centro alla periferia. Gli enti locali protestano, poi, perché il calcolo dei trasferimenti si fa sul 2010, cioè include i tagli della manovra di luglio, quindi le riduzioni rispetto al 2009 diventano strutturali. E dal 2012? È un mistero perfino se questo “fondo di riequilibrio” avrà sempre la stessa dotazione o verrà finanziato a seconda delle disponibilità dello Stato. “Il fondo di riequilibrio – scrive il Pd in una relazione presentata in bicamerale – null’altro è se non un fondo analogo a quello oggi esistente per i trasferimenti, con l’unica differenza di un ruolo più forte per il ministero dell’Economia al confronto con il ministero degli Interni”.

Le entrate che dovrebbero contribuire a questo fondo restano molto incerte. Dal 2014 il federalismo municipale dovrebbe andare infatti a regime, tutto centrato sulla tassazione delle abitazioni e sull’Imu, l’imposta municipale unica. L’Imu, lo ha ribadito ieri il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, rimarrà quella prevista nella versione dei decreti sottoposta alla bicamerale: riguarderà soltanto le seconde e terze case. Tradotto: i Comuni in zone turistiche e le grandi città dove in molti hanno più di un immobile avranno più risorse a disposizione, o almeno più autonomia, soltanto perché il governo non può rimangiarsi l’abolizione dell’Ici sulla prima casa (iniziata dall’esecutivo di Romano Prodi). Quasi tutta la tassazione immobiliare finisce dunque sulle seconde e terze case.

L’altra novità immobiliare del federalismo fiscale è la cedolare secca sugli affitti. Il reddito che genera l’affitto, cioè, non dovrebbe più essere conteggiato nell’Irpef (dove ci sono aliquote progressive) ma tassato con un’aliquota unica del 20 per cento. Lo scopo è far emergere dal sommerso molti affitti che vengono pagati in nero, secondo il principio che se l’imposizione è più bassa si è meno inclini a evadere. I benefici sono tutti da dimostrare, i costi più evidenti. Perfino Mario Baldassarri, da sempre grande sponsor della cedolare secca, ha alzato un sopracciglio quando il governo ha ridotto le stime di costo da 3 miliardi a uno. Perché almeno all’inizio, nell’attesa che i proprietari si decidano a far emergere dal nero gli affitti, il gettito cala sicuramente.

L’opposizione ha chiesto che sia il governo a pagare la differenza, nel caso il buco si concretizzi nei 3 miliardi temuti. Calderoli però sa che ottenere una simile garanzia dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è praticamente impossibile. Perché le risorse sono troppo poche per avere un’incognita di due miliardi all’anno.

Per questo Calderoli ieri ha spiegato che il decreto sul fisco municipale cambierà ancora, prevedendo una compartecipazione dei Comuni all’Irpef. Piccolo problema: il rischio così è che, a riforma approvata, le addizionali comunali e regionali dell’Irpef siano superiori a quelle di oggi. Cioè più tasse per tutti. “Calderoli vuole modificare molte altre parti del decreto, e quindi ha dato ragione a chi denunciava che fosse pieno di errori e omissioni”, dice il vicepresidente della bicamerale sul federalismo, Marco Causi, Pd. Tutto questo si salda con il mai risolto problema dell’Ici sulle prime case, abolito come imposta, ma che ha generato un trasferimento sostitutivo dallo Stato di 3,4 miliardi che devve essere prorogato.

Come con gli altri decreti, quindi, i compromessi che si stratificano nei vari passaggi parlamentari rendono sempre più difficile da applicare il principio leghista all’apparenza lineare secondo cui i soldi devono restare sui territori che li hanno generati. Lo si è visto anche con il punto che doveva essere più rivoluzionario, il passaggio dalla spesa storica (le risorse a cui hai diritto si calcolano in base a quanto spendevi in passato) ai costi standard (risorse proporzionali a quanto dovresti spendere, in base ai servizi erogati).

A dicembre ha avuto il via libera dalla Conferenza Stato-Regioni un bizantino meccanismo di calcolo in cui il calcolo dei trasferimenti non considera le Regioni più efficienti come parametro di confronto, ma un pacchetto di cinque Regioni di cui due con i bilanci in dissesto. Poi si considera la media della spesa storica corretta per le variabili demografiche, tipo l’età media degli abitanti o la dispersione. E si perde ogni contenuto rivoluzionario, visto che alla fine il parametro resta il costo storico. Sulle sanzioni per chi non riesce comunque a rispettare i parametri (inclusa l’ineleggibilità per gli amministratori) c’è poi grande incertezza su come si tradurranno dalla teoria alla pratica. Ma alla Lega serve un successo immediato, quale il parere positivo della bicamerale, mentre per risolvere (o rimandare ancora) questi problemi c’è tempo fino a maggio, quando scadrà la delega che autorizza il governo a emanare i decreti attuativi in materia di federalismo fiscale.

Da Il Fatto Quotidiano del 12 gennaio 2011