EranoSemi: Lea Garofalo (Petilia Policastro, 4 aprile 1974 – Milano, 24 novembre 2009)

L’associazione La Barriera aderisce con orgoglio all’iniziativa #EranoSemi soprattutto perchè in questa testimonianza di giustizia ritroviamo Davide, grazie a lui, in Lombardia la denuncia di Denise figlia di Lea Garofalo diventa coscienza comune. Supporta i ragazzi del presidio Lea Garofalo in questa lotta, si partecipa al processo,ha l’idea insieme ai suoi collaboratori più stretti delle bandiere “Vedo Sento Parlo” e verrà chiesto a tutta Milano di esporle come i lenzuoli bianchi a Palermo e durante il funerale in piazza Beccaria a Milano. Sostiene ed incoraggia a non far abbattere i giardini in via Montello, che si dedicheranno a Lea, ci ha insegnato che vi é una giustizia delle aule di tribunale è una verità reale e per questo per noi Lea è Vittima di Ndrangheta grazie Davide

Lea Garofalo è stata una testimone di giustizia italiana. E’ la madre di Denise Cosco, anch’essa testimone di giustizia. Figlia di Antonio Garofalo e Santina Miletta, Lea rimase orfana all’età di nove mesi in quanto suo padre venne ucciso nella cosiddetta “faida di Pagliarelle”. La piccola Lea crebbe insieme alla nonna, alla madre e ai fratelli maggiori Marisa e Floriano che, assunto il ruolo di capofamiglia, anni dopo avrebbe vendicato l’omicidio del padre, salvo poi essere a sua volta ucciso in un agguato, l’8 giugno 2005. A quattordici anni Lea si innamorò del diciassettenne Carlo Cosco e decise di stabilirsi con lui a Milano, in viale Montello 6. Il 4 dicembre 1991 diede alla luce Denise, figlia della coppia. Lea Garofalo fece un primo gesto eclatante quando decise di trasferirsi a Milano, ignara del fatto che Carlo Cosco l’avesse scelta come compagna solo per acquisire maggior prestigio agli occhi della cosca Garofalo. Il secondo arrivò il 7 maggio 1996, quando il compagno e alcuni componenti della sua famiglia vennero arrestati per traffico di stupefacenti: durante un colloquio in carcere, la ragazza comunicò al compagno la volontà di lasciarlo e di volersi portare via la figlia.

La reazione fu violenta e immediata, tanto che intervennero le guardie per sedare la lite. Madre e figlia abbandonarono dunque Milano. Nel 2002, quando Lea, sotto casa, si accorse dell’incendio della propria auto, capì che i Cosco erano sulle loro tracce e che lei e sua figlia si trovavano in pericolo. Decise di rivolgersi ai Carabinieri e di raccontare tutto ciò che, nel corso degli anni, aveva visto e sentito, a Pagliarelle come a Milano. Per le sue dichiarazioni, la giovane donna e la figlia vennero inserite, con false generalità, nel programma di protezione. La vita da testimone di giustizia fu difficile, caratterizzata da una profonda solitudine. Le dichiarazioni di Lea non sfociarono in alcun processo (salvo poi, nell’ottobre 2013, condurre all’arresto di 17 persone in varie città italiane) e per questo motivo le viene revocata la protezione dello Stato. Nonostante il ricorso vinto al Consiglio di Stato, nel frattempo i documenti falsi suoi e della figlia non esistevano più. Nel frattempo, gli anni non avevano cancellato il rancore e la rabbia di Carlo Cosco nei confronti di Lea Garofalo. La sua sete di vendetta venne soddisfatta il 24 novembre 2009. Lea e sua figlia si trovavano a Milano da quattro giorni: partite da Petilia Policastro alla volta di Firenze, mamma e figlia il 20 novembre presero il treno che le avrebbe portate nel capoluogo lombardo. Fu lo stesso Carlo Cosco ad invitarle. Si trattava di una trappola: l’ex-compagno era a conoscenza della difficile situazione economica delle due donne e chiese a Denise di raggiungerlo a Milano dopo che la figlia gli aveva raccontato di aver visto un maglione, ma che sua madre non avrebbe potuto comprarglielo. Lea, che aveva a cuore il futuro della figlia più di ogni altra cosa, decise che non l’avrebbe fatta partire da sola, nonostante i tentativi dell’avvocato Rando di dissuaderla. Lea era convinta che insieme a sua figlia non le sarebbe accaduto mai nulla, anche perché “Milano è una grande città, non è come la Calabria”.
In quei giorni, gli ex compagni di vita e Denise trascorsero molto tempo insieme. L’intento dell’uomo era di fare in modo che Lea tornasse a fidarsi di lui.
Nel pomeriggio del 24 novembre, Lea e Denise decisero di concedersi una passeggiata per Milano, in zona Arco della Pace. L’immagine di quella camminata fu ripresa dalle telecamere della zona: la mamma aveva un giubbotto nero, la figlia uno uguale, ma bianco. Alle 18.15 circa, Carlo Cosco le raggiunse, prendendo la figlia e accompagnandola a casa del fratello Giuseppe Cosco, per farla cenare e poi salutare i suoi zii e i suoi cugini. Poi l’uomo fece ritorno all’Arco della Pace, dove aveva appuntamento con Lea Garofalo.
L’omicidio si consumò intorno alle 19.10, in un appartamento di piazza Prealpi 2 a Milano, di proprietà della nonna di un amico dei Cosco. Il corpo di Lea Garofalo venne poi trasportato su un terreno a San Fruttuoso e lì distrutto. Il 6 luglio 2011 si apre a Milano il processo di primo grado contro Carlo Cosco, che vede Denise costituirsi parte civile contro il padre, la sua famiglia e l’ex fidanzatino Carmine Venturino, complice dell’omicidio della madre. L’accusa era di aver sequestrato, torturato e ucciso Lea Garofalo la notte tra il 24 e il 25 novembre 2009, e di averne distrutto il cadavere in 50 litri di acido su un terreno a San Fruttuoso, quartiere di Monza Il limite del procedimento penale fu che non venne richiesta l’aggravante mafiosa (il cosiddetto ex-articolo 7): per i giudici non si poteva parlare di delitto di Ndrangheta, quindi a Denise non venne riconosciuto lo status di familiare di vittima di mafia. Nonostante il convincimento dei giudici, Lea Garofalo viene ricordato il 21 marzo, nella Giornata della memoria e dell’Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie. La sentenza fu emessa il 30 marzo 2012: ergastolo per tutti e sei gli imputati Nei mesi che seguono sarà Carmine Venturino a fornire agli inquirenti la prova mancante: mentre inizialmente si era ipotizzato che il corpo di Lea fosse stato sciolto nell’acido, Venturino rivela che i resti carbonizzati di Lea Garofalo sono stati frantumati e nascosti in un tombino nei pressi di san Fruttuoso.
Le sue parole: “Ho fatto questa scelta per amore di Denise, perché sapesse come sono andate le cose nell’ omicidio di sua madre, perché Denise occupa il primo posto nel mio cuore”.
Il 28 maggio 2013 la Corte Assise Appello di Milano emette la sentenza di secondo grado, confermando quattro ergastoli per Carlo Cosco, Vito Cosco, Massimo Sabatino e Rosario Curcio. Assoluzione per Giuseppe Cosco. Carmine Venturino, dopo il pentimento e la collaborazione con i magistrati, è stato condannato a 25 anni di reclusione. Il 18 dicembre 2014 la Cassazione ha confermato in toto la sentenza Appello. Sebbene emergano chiaramente le dinamiche mafiose, gli imputati non sono stati condannati per il 416 bis. Denise vive da anni in località segreta, sotto protezione.
I giardini di viale Montello sono stati intitolati a Lea Garofalo. Rappresentano il riconoscimento della città di Milano (anche il Comune è stato parte civile al processo) alla ribellione contro la Ndrangheta e costituiscono un simbolo di orgoglio, di riscatto e la promessa di una cittadinanza “agiata” e consapevole. Il 19 ottobre 2013, sulla piazza Beccaria, tremila persone diedero l’estremo saluto a Lea Garofalo. I funerali civili vennero seguiti in diretta da «Rainews 24» e tutte le testate nazionali si occuparono della storia di Lea e Denise. Finalmente alla vicenda, per mesi passata sotto silenzio, venne dato il giusto risalto. Momenti di grande commozione, canzoni, ricordi, e la voce di Denise che, da dietro una finestra, saluta la sua mamma, ringraziandola “perché se questo è successo, tutto questo è successo, è per il mio bene…
Ciao mamma”. Fu lei a chiedere, lo stesso giorno della sentenza, che sua mamma fosse salutata “come se fosse una festa” a Milano, che tanto si era dimostrata vicina a questa storia. I resti della giovane testimone di giustizia Lea Garofalo riposano oggi al cimitero monumentale di Milano, perché l’amministrazione le riconobbe di aver dato lustro alla città.
Alle finestre delle case e sulle porte dei negozi vennero appese le bandiere che Don Ciotti di Libera e il Sindaco di Milano Pisapia presentarono perché questa storia non fosse dimenticata “VEDO SENTO PARLO”.

Campagna: “ERANO SEMI – ricordiamoli tutti sui social” dal 18 al 21 marzo. Istruzioni per aderire sulla pagina FB WikiMafia o su Instagram @wikimafia https://www.wikimafia.it