Dopo i numerosi arresti, iniziativa antimafia bipartisan in Consiglio Regionale

Le indagini hanno documentato, come in territorio lombardo sia avvenuta una “mutazione genetica” della ‘ndrangheta, che ha portato al passaggio dalle tradizionali manifestazioni dell’agire ‘ndranghetistico (omicidi, sequestri di persona, grandi traffici di droga) a forme di controllo di settori economici (il movimento terra, la concessione di finanziamenti a soggetti in difficoltà) e di infiltrazioni nelle istituzioni pubbliche, a livello locale”: così la nota stampa diffusa a metà luglio, a margine dell’operazione “Il crimine” che ha visto le Direzioni distrettuali antimafia di Milano e Reggio Calabria sferrare un colpo decisivo ai clan in Lombardia e in Calabria. I capi di imputazione e i numeri del blitz ne documentano l’importanza: associazione di tipo mafioso, omicidio, usura, estorsione, traffico di armi, traffico di stupefacenti; 304 arresti, metà dei quali in “Padania”; circa 5.000 affiliati in Lombardia; 15 “locali” – le cellule della ‘ndrangheta – portati alla luce; 55 perquisizioni tra Milano e Reggio; oltre 40 vertici mafiosi in due anni; beni sequestrati per 60 milioni di euro; droga e armi in quantità varia. L’elenco delle famiglie coinvolte vede rappresentato il gotha della ‘ndrangheta cresciuta silenziosamente all’ombra di Cosa Nostra, muovendo dalla regione più ricca del paese alla conquista del mondo, grazie ai proventi di narcotraffico e sequestri: dai Pesce-Bellocco e gli Oppedisano di Rosarno – in carcere l’80enne capofamiglia Domenico, ritenuto il boss indiscusso – ai Commisso di Siderno, dai Pelle di San Luca ai Mazzaferro di Gioiosa Ionica, passando per gli Iamonte di Melito Porto Salvo. Per l’intera opinione pubblica, l’operazione antimafia illustrata dai magistrati Boccassini, Dolci, Pignatone e Prestipino, è stata un vero e proprio pugno nello stomaco. Anche chi, fino ad oggi, soprattutto nei palazzi della politica, aveva sposato completamente le tesi negazioniste, ha dovuto prendere atto della realtà e registrare la pervasiva presenza dei clan, oggi pronti a sedersi al tavolo della politica e dell’economia, nel cuore finanziario ed economico dell’Italia. Dalle indagini il quadro che emerge è davvero preoccupante, perché popolato da personaggi davvero insospettabili: altro che “colletti bianchi”, molti di costoro sono piuttosto dei “colletti immacolati”! Come definire, infatti, il ruolo dell’irreprensibile direttore della ASL di Pavia, Carlo Antonio Chiriaco, “mafioso per gioco o per darsi un tono” secondo la definizione che amabilmente offriva di sé stesso? Il soggetto in questione, oltre a fornire assistenza e ricovero di tipo sanitario, si impegnava a coltivare i legami con la politica, indirizzare gli investimenti finanziari e immobiliari e svolgere una serie di altri servigi minuti ma non meno importanti per le cosche. Cosche che, all’alba del nuovo millennio, sono arrivate a discutere di una riforma in senso federalista, tanto da arrivare a costituire un quarto mandamento, denominato appunto “la Lombardia”, accanto ai tradizionali (Tirrenico, Centro e Jonico), per non trovarsi impreparati all’appuntamento con l’Expo prossimo venturo. Di fronte a quest’ultimo scossone, sono venuti meno alibi e stereotipi, che hanno consentito fino ad oggi alla politica lombarda di eludere il problema. Con uno scatto in avanti, supportato in modo convinto e robusto da Libera e dalle associazioni che ne fanno parte, le forze politiche si sono confrontate pubblicamente per arrivare a definire, al termine dell’ultimo Consiglio Regionale, un ordine del giorno condiviso e votato all’unanimità. Viene dato mandato alla Commissione Affari Costituzionali perché sottoponga al Consiglio le proposte per una legge regionale «sulle buone pratiche amministrative e il contrasto delle attività criminose»: si citano, tra le misure, l’adozione di un conto corrente unico per gli appalti pubblici; la previsione di misure di sostegno per le vittime; la costituzione di parte civile della Regione nei processi per mafia; la formazione per operatori della sicurezza; i percorsi di educazione alla legalità e, infine, l’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alle cosche. Ulteriori indicazioni richieste alla Commissione sono nella direzione di un «testo unico che definisca lo status dell’amministratore pubblico e degli eletti in termini di incompatibilità e conflitto d’interesse e proponga una riorganizzazione della decisione pubblica capace di garantire la massima trasparenza e il controllo ad ogni passo». Infine, nell’ordine del giorno, si chiede di avviare un monitoraggio sulla trasparenza degli appalti e si propongono misure di sostegno «alle imprese in difficoltà nell’ambito del credito e della lotta all’usura». Un passo in avanti decisivo per la politica regionale nel suo complesso, da qui ad un mese sapremo se non resterà un passo isolato ma l’inizio di un cammino.
Lorenzo Frigerio
Verità e Giustizia, Newsletter di Liberainformazione