Domenica 18 Aprile: Arthur e la vendetta di Maltazard

Durante le dieci lune che lo separano dal reincontro con l’amata principessa Selenia, il giovane Arthur si affida alla tribù che abita nel proprio giardino, i Bogo Matassalai, per entrare in contatto spirituale con la natura dei boschi. Al termine dell’iniziazione, nel giorno dell’investitura ufficiale presso il popolo dei Minimei, suo padre si spazientisce per la vita di campagna e decide di fare ritorno in città. Allarmato dalla notizia e da una richiesta d’aiuto scritta su un chicco di riso recapitatogli da un ragno, Arthur teme che Selenia e i Minimei possano essere in pericolo, ed escogita così una stratagemma per poter restare nella fattoria dei nonni ed assumere le dimensioni necessarie per entrare ancora una volta nel micromondo.
Non sono propriamente dei troll i piccoli protagonisti del nuovo franchise produttivo di Luc Besson, ma neanche dei minuscoli umani, anche se finiscono col ricalcarne tutte le caratteristiche. In un certo senso, somigliano molto al suo cinema, girato con forze e capitali francesi, eppure così pedissequamente plasmato sul modello americano. Che si tratti di avventure acquatiche, spionistiche, fantascientifiche, tardo-nouvelle-vagueggianti o fantasy-fanciullesche, Besson concepisce lo scontro con il sistema americano non battendolo ma unendosi ad esso, pensando in tutto e per tutto secondo i dettami della filiera produttiva americana.
Poteva mancare quindi una sua risposta all’idea di produzione seriale back-to-back, girata in continuità come per i vari sequel di Matrix, I Pirati dei Caraibi e Il signore degli anelli? Certamente no.
Ecco così che la seconda incursione nei territori dell’animazione digitale predispone già ad una terza e coincide con una storia più complessa da poter suddividere in due capitoli. Il problema è che questa idea della serializzazione acuisce quelli che erano i limiti già del precedente Arthur e il popolo dei Minimei e, d’altra parte, ne svilisce anche i (pochi) pregi convertendoli in ripetizione, in cliché. Come nel primo film, anche per la vendetta di Maltazard Besson concepisce la parte presa dal vero con Freddie Highmore, Mia Farrow e gli altri attori in carne e ossa, come la struttura portante, la cornice narrativa alla quale in questo capitolo ritaglia anche il ruolo di riserva aurea di comiche puerili “per tutta la famiglia”. L’action movie, l’avventura vera e propria, spetta sempre alla rappresentazione del mondo dei Minimei, integralmente e ottimamente realizzata in animazione digitale.
Ma per comprendere le debolezze anche di questa parte, basta soffermarsi un attimo sulla sequenza di Paradise Alley, il quartiere “downtown” del regno dei Minimei. Tecnicamente impeccabile, la sequenza conta almeno tre brividi di sensazione da déjà vu: la somiglianza con la licenziosa zona parigina di Pigalle, il rimasticamento di certe suggestioni e personaggi derivati da Guerre stellari (la taverna di Tatooine) e da tutta un’estetica retro-futurista, e infine l’idea di un minimondo che ricrea modelli e tendenze della nostra contemporaneità (il proprietario del bar Max è un rastafariano e in sottofondo si sente la musica di Lady Gaga). Ovvio quindi che a dispetto di una morale punk-ecologista, l’universo fantasy per ragazzi al quale si ispira Luc Besson è più quello “precotto” e citazionista della Dreamworks che quello poetico e creativo della Pixar.
In attesa di sapere come andrà a finire la storia di Arthur, si riscontra la conferma di essere più dalle parti della parodia e della facile complicità piuttosto che nel mondo immaginifico dell’“animazione con l’anima”.