A Pavia i giovani parlano delle mafie al nord

«Siamo uno degli epicentri lombardi delle mafie. Nel nord Italia ed in provincia di Pavia, la presenza della criminalità organizzata è radicata dagli anni ’60 e ’70 del secolo scorso». Con queste parole, Carlo Gariboldi de’ “La Provincia Pavese” ha aperto l’incontro del 5 marzo, tenutosi nell’aula magna dell’Università di Pavia. Prima di un ciclo di conferenze dal titolo “Mafie senza confini. Noi senza paura”, organizzato da “Costruendo Libera Pavia”, con la collaborazione del neonato presidio “Libera” di Vigevano e con il contributo della commissione permanente studenti dell’Università. Ogni primo lunedì del mese, fino a giugno, si terrà nella medesima ubicazione un incontro, con l’obiettivo di sensibilizzare la cittadinanza pavese e della provincia, sul caldo tema delle mafie al nord. Ospiti della prima conferenza, intitolata “Mafie al nord: infiltrazione o radicamento?”, sono stati la giornalista de’ “La Provincia Pavese” Maria Fiore, Mario Portanova de’ “Il Fatto Quotidiano” e Lorenzo Frigerio di “Libera Informazione”. «Recentemente, il Ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, ha riconosciuto il problema delle mafie al nord, sottolineando l’incisività sempre maggiore delle cosche nel settentrione. – ha dichiarato Maria Fiore – Tuttavia, la presa di posizione pubblica del Governo arriva molto in ritardo. A Pavia, ad esempio, da tempo è iniziata l’infiltrazione mafiosa. I rapimenti Casella e Ravizza ne sono prova. Cesare Casella fu sequestrato il 18 gennaio del 1988, Giuliano Ravizza il 24 settembre del 1981, entrambi ad opera della cosca Nirta-Strangio». Anche di fronte a casi così espliciti c’è stata, negli anni passati, una voluta rimozione del fatto che si fosse davanti a meccanismi mafiosi. Ha dichiarato per l’appunto Portanova: «Già nel 1983, con il rapporto del poliziotto Giorgio Pedone, fu denunciata la presenza della ‘Ndrangheta a Vigevano. Fu scoperto che il clan Valle era un’associazione di stampo mafioso ed estorsione. Eppure, notizie come questa venivano affossate. Per superare lo scoglio de’ “la mafia al nord non esiste”, sono stati impiegati diversi anni, caratterizzati da omissioni e silenzi. Oggi inoltre, sappiamo che non si può più nemmeno parlare solo di infiltrazione. È in atto da molto un vero e proprio radicamento mafioso al nord, in particolare della ‘Ndrangheta. La criminalità organizzata di origine calabrese – ha continuato il giornalista de’ “Il Fatto” – risulta presente nel settentrione dal 1954 e non è certo l’unica mafia». In sessant’anni (60!), la colonizzazione mafiosa ha interessato dapprima i piccoli Comuni, espandendosi poi a centri sempre più grandi. «Inizialmente l’attenzione delle cosche si è riversata nei municipi con pochi abitanti, – ha sostenuto Portanova – perché questi sono caratterizzati dai rapporti diretti tra giunta e cittadinanza. Nel piccolo Comune spesso si parla con il sindaco in prima persona. Le famiglie di ‘Ndrangheta hanno quindi creato rapporti con gli autoctoni e le generazioni si sono susseguite e radicate, attraverso quei normali rapporti all’interno di una comunità: matrimoni, apertura di attività commerciali con conseguente assunzione di personale del luogo, fino alla politica». L’opinione pubblica lombarda è stata distratta da altre informazioni, che non riguardavano il radicamento mafioso. Nel nord Italia i mafiosi hanno trovato terreno fertile, la colonizzazione è stata favorita dall’atteggiamento omertoso. «Proprio come gli struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia per non vedere cosa gli accade intorno, qui al nord non abbiamo voluto notare la colonizzazione. – ha ammesso Lorenzo Frigerio – Ritengo necessario intervenire, come “Libera” sta facendo da anni, nei luoghi dell’educazione per insegnare legalità e lotta alla mafia ai giovani ma non solo. È giusto proseguire tale insegnamento anche nel mondo del lavoro, all’interno degli ordini professionali, con corsi di aggiornamento su questi temi. Non voglio più vedere – ha aggiunto – situazioni in cui, ad esempio, avvocati, ingegneri o architetti non siano sospesi dal proprio ordine, anche se indagati o imputati per concorso mafioso. In Italia c’è questo vizio di dover attendere sempre il giudizio finale, la Cassazione. Non sono giustizialista ma sapere che degli imputati siano difensori di altri imputati legati alla criminalità organizzata, è tremendo». Rimanendo a Pavia, è corretto ricordare che il 12 ottobre 2011, i giudici Cesare Beretta, Luigi Riganti e Pietro Balduzzi, hanno assolto l’ex assessore al commercio Pietro Trivi e l’ex direttore sanitario dell’Asl Carlo Chiriaco, processati per corruzione elettorale. Maria Fiore, che ha seguito il divenire del processo per “La Provincia Pavese”, in un articolo datato 26 ottobre 2011 ha riportato la replica alla sentenza del pm Paolo Storari, magistrato dell’antimafia: «Questa è solo una interpretazione dei giudici. Non ho ancora avuto modo di leggere la sentenza. Appena riuscirò ad averla si valuterà se fare appello». Ciò che non convince del tutto è la posizione ambigua di Mimmo Galeppi, sindacalista della Uil a cui, secondo l’accusa forte delle intercettazioni ambientali, dovevano essere consegnati in busta duemila euro, il cui fine era di comprare voti. Per i giudici, parafrasando l’articolo scritto da Fiore, Galeppi non poteva votare per le elezioni comunali di Pavia perché iscritto nelle liste di San Martino e quindi, non poteva rivestire la qualità di corrotto, come indicato nel capo di imputazione. Anche se hanno ritenuto plausibile, ha scritto la giornalista: «Che il sindacalista fu davvero destinatario di un rimborso spese per la distribuzione di “santini” e per organizzare il pranzo a San Genesio, a cui partecipò anche il futuro sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo». Attività lecite, secondo il giudice Beretta, in quanto l’obiettivo era cercare il consenso tra gli elettori. Proprio su questo tema però, Portanova ha avanzato una critica costruttiva verso il fondamentale ruolo suo e dei suoi colleghi: «Succede troppo spesso che la politica sia il “taxi” delle mafie, un appoggio per giungere alle istituzioni. L’emergenza legalità in ambito politico, risulta chiara dalle carte dei diversi processi. Tuttavia i politici tendono ad auto assolversi finché non si giunge in Cassazione, a volte nemmeno in quel caso. Credo che chi informi – ha dichiarato – debba sempre approfondire e ragionare sulle carte processuali, sottolineando quei comportamenti che, anche se non fanno dei politici degli indagati, vanno contro i fondamentali valori etici che devono essere propri della classe politica». A Pavia Trivi si dimise per affrontare il processo ma per Maria Fiore: «Nella nostra città a livello istituzionale si fa ben poco. La politica alle notizie su Trivi e Chiriaco ha reagito in maniera schizofrenica». Dopotutto, come risposta alla richiesta di Giovanni Giovannetti, autore del libro “Sprofondo sud”, di «togliere le nomine a tutte le persone citate nell’inchiesta “Infinito”», chiedendone le dimissioni, il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo ha risposto: «Ma su che base? Dobbiamo sostituirci alla magistratura?».