Verso il 25 aprile 4° IL NEMICO di Ferruccio Quaroni

Felix Greene è stato un personaggio eccentrico ma geniale. Parente del più celebre Graham, scrittore, fu soprattutto ottimo fotografo e regista di documentari molto indulgenti sui paesi comunisti che presentavano quelle realtà come società indenni dai mali del capitalismo e tese a costruire un roseo futuro per tutti i cittadini. Così fece per il Vietnam del Nord, del quale fu uno dei primi visitatori occidentali, per la Cina di Mao e per la Cuba di Castro. Nel 1970 incontrò il Dalai Lama che, dopo parecchi giorni di discussione, lo convinse che le cose per i Tibetani e per i Cinesi stessi non erano poi così positive come egli credeva e come gli erano state mostrate…

Greene visse fino al 1985 e, sempre nel 1970, scrisse un libro “Il Nemico” edito da Einaudi tre anni dopo. Il testo è datato e viziato da una contrapposizione del capitalismo, fonte di tutti i mali, alla “rivoluzione” sol dell’avvenire. Detto ciò le 400 pagine del volume, godibilissimo e di facile lettura, rappresentano un interessante riassunto sulla nascita e lo sviluppo dell’imperialismo (quello che Lenin definì “fase suprema del capitalismo”), raccontano le radici di quello americano derivato dalla madrepatria britannica, elencano dati, statistiche e fatti relativi all’autentico saccheggio perpetrato ai danni delle nazioni considerate oggetto di sfruttamento, in particolare quelle latino-americane, e raccontano dei vari tentativi di esportare ed imporre un modello di “democrazia” in nome del contenimento dell’ideologia marxista.

Ciò che però appare anticipatore e lungimirante (in considerazione della data di stesura, anni in cui poco si parlava di “sostenibilità” dello sviluppo e di pericoli mortali per l’eco-sistema) sono le affermazioni su quella che Greene definisce la “brutale violenza” perpetrata dall’imperialismo sulla “terra vergine” in nome del profitto e sull’insostenibile pressione alla quale era già allora sottoposta la natura da parte della tecnologia.

Pochi giorni fa mi sono venute fra le mani due riflessioni, la prima di Naomi Klein che nove anni fa in “Shock economy, l’ascesa del capitalismo dei disastri”, raccontava il meccanismo in base al quale il sistema economico dominante sfrutta ogni tipo di catastrofe – siano esse guerre, crisi o calamità naturali – per eliminare i vecchi limiti sociali ed imporre il suo programma sul terreno devastato dal disastro. Nel “piccolo” delle nostre misere vicende italiane mi sono tornate in mente le telefonate degli imprenditori che, poche ore dopo il terremoto de L’Aquila, già sentivano odore di soldi mentre ancora si scavava…

La seconda è quella di Slavoj Zizek che, muovendo proprio dalle cose dette da Klein, parla dell’oscenità di un capitalismo (imperialismo) che riesce a “spacciare” per un fatto “green” ed una opportunità la catastrofe dello scioglimento dei ghiacci della Groenlandia o che costruisce un business sul riciclaggio dei rifiuti, sulle raccolte “differenziate”, sulle nuove mode vegane piuttosto che sul “biologico”. Non si tratta di condannare tout court esempi che possono anche possedere una virtuosità ma di capire che, comunque, il limite della sostenibilità planetaria è stato ampiamente superato e che è solo ipocrita e funzionale al “potere” anche ciò che viene presentato come alternativo ed ecologico. Zizek sostiene giustamente che bisogna comunque evitare un anticapitalismo moralizzante che riduce tutto all’avidità egoistica di singoli che vogliono sempre più potere e ricchezza. “Nel vero capitalismo” dice l’autore “l’avidità personale è subordinata agli sforzi impersonali dello stesso capitale per riprodursi ed espandersi.” Un capitale che si dedica in modo incondizionato alla sua auto espansione è perciò in grado di mettere in gioco tutto, compresa la sopravvivenza dell’umanità intera, per la riproduzione del sistema fine a se stesso. Il capitalismo ignora ogni danno collaterale che produce, non lo include nei costi di produzione perché ciò che importa è la circolazione che si accresce, incentrata sul profitto.

Ecco che ritorna in gioco la necessità rivoluzionaria enunciata da Greene. Non ci sono più però né Vietnam, né Cuba, né Rivoluzione Culturale e non basta neppure la lettura classica del marxismo. Occorre veramente, come sostiene Zizek, “civilizzare le civiltà” ed imporre un’idea di solidarietà e cooperazione universale fra tutte le comunità che sole possono contrastare la barbarie dei fondamentalismi religiosi, la follia dei rigurgiti dei nazionalismi o delle logiche di sovranità incondizionata da stato-nazione, come nel caso della Corea del Nord e che, soprattutto, rappresenta l’unico modo per responsabilizzare l’umanità sul fatto che il pianeta è un “oggetto finito”, di cui siamo responsabili, non inesauribile ed ormai alle soglie della distruzione e dell’invivibilità.

Dopo quasi 50 anni l’orizzonte non è più quello prospettato da Felix Greene: l’imperialismo ha devastato oltre ogni limite, le risposte sono state deboli e confuse, miliardi di persone si sono illuse di assicurarsi futuro ed “immortalità” tramite beni di consumo, visibilità sui “social” e tecnologia a basso costo. Si è barattato il pianeta per meno di un piatto di lenticchie…

La risposta finale è però la stessa: Greene concludeva il suo libro chiedendosi “E io dove sto?” e scriveva questa frase illuminante e sempre valida “… fino a quando esisterà una separazione tra ciò che penso come persona politica e il modo in cui ragiono e mi comporto nella «vita quotidiana», io non potrò affermare di essere dalla parte della rivoluzione.” Oggi “essere rivoluzionari” significa altro e forse di più rispetto agli anni ’70, ma il messaggio dell’autore è sempre chiaro e valido.

di Ferruccio Quaroni